76 – Il Comandante della nave giapponese

Come tutte le cose importanti che si imparano nella vita, anche lo Shiatsu ha bisogno di due forze che permettano l’evoluzione dell’esperienza come crescita di un percorso personale.
La prima è legata alla percezione interiore, la seconda alla determinazione necessaria per vivere la disciplina; mettere in pratica la tecnica e la relazione con il ricevente.
Se è più semplice capire dai giapponesi gli aspetti della ricerca interiore, come per esempio quelli offertici dallo Zen, per gli allievi di una scuola di Shiatsu la determinazione che emerge dalla quotidianità di questo popolo non è sempre di facile comprensione, anche per le esagerazioni prodotte nella storia del Giappone legate al fanatismo e al settarismo guerriero.
Uno degli aspetti positivi di tale determinazione che può servire da esempio a chi studia Shiatsu per aiutare a costruire la strada dell’apprendimento e dell’acquisizione del mestiere di Operatore Shiatsu, emerge da un fatto accaduto a mio fratello maggiore a metà degli anni cinquanta.
Neolaureato in ingegneria navale era pilota di una nave e si trovò un giorno, all’entrata del porto di San Francisco, negli Stati Uniti, a governare il suo mercantile nello stesso momento in cui entrava una nave giapponese.
L’avvicinarsi delle due navi che attraccavano a pochi metri l’una dell’altra permise a mio fratello di salutare con un gesto di cortesia il Comandante della nave giapponese.
Sbarcati a terra avvenne che i due si salutarono di persona sul molo e, a differenza di mio fratello, poco più che ventiduenne, il Comandante della nave giapponese, che sarebbe andato da lì a poco in pensione, era un ufficiale di grande esperienza marinara.
Il vecchio lupo di mare, preso in simpatia il giovane ufficiale, lo invitò la sera ad una cena giapponese.
Durante la serata cominciarono a scambiarsi informazioni dei relativi paesi di provenienza e arrivarono, senza malizia alcuna, a parlare anche dei loro rispettivi compensi professionali.
Essendo venuto a conoscenza dello stipendio di mio fratello, il Comandante giapponese formulò la domanda diretta, curioso della risposta: “Quanto credi che io guadagni per fare il mio mestiere?” Mio fratello, facendo un veloce calcolo approssimativo, gli rispose che non poteva guadagnare meno di tre o quattro volte il suo stipendio da principiante.
Il Giapponese disse: “Di meno!” Mio fratello chiese: “Il doppio di me?”; il Giapponese disse ancora “Di meno!”.
“Una volta e mezzo?”.
Il Giapponese ripeté “Di meno!”.
A quel punto mio fratello dedusse che lo stipendio del Comandante nipponico non poteva che essere pari al suo.
Ma il Giapponese disse ancora “Di meno” e questa volta spiegò: “ Noi in Giappone, in questo periodo, stiamo ricostruendo il paese dopo i disastri della guerra.
In realtà gran parte del mio stipendio lo do allo Stato, anzi, all’Imperatore, perché possa ricostruire il Giappone.
E aggiunse convinto: “Fra vent’anni vogliamo essere una delle nazioni economicamente più potenti al mondo!”.
Era il 1955.
In fatto di determinazione, davvero, no comment!

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